domenica 25 settembre 2011

I Fantastici Quattro & Silver contro Medusa Bree.

Non ho mai capito il criterio con cui i cinesi si scelgono il nome occidentale e nessuno riesce a spiegarmelo. Prima pensavo si basassero sulla traduzione del significato, poi su un'assonanza fonetica ma ultimamente ho sempre più dubbi in merito. Aaron, Sireen, Klingon, TeeTee o Salida devono essere usciti dritti dritti dal traduttore automatico di Google o da una mano di Scrabble di quelle particolarmente sfigate.
Prendete i miei parrucchieri: si chiamano Echo, King, Vigor e Viland. Già sembravano eroi della Marvel, ma adesso si è aggiunto anche Silver (surfer?) e comincio a credere che in effetti per domare i miei capelli ci vogliano minimo minimo i superpoteri.

domenica 18 settembre 2011

I cugini di campagna.

Attenzione: questo post contiene espressioni politicamente scorrette.

Ni hao! - saluto entrando in ascensore.
Hi - risponde gelido il mio vicino.

Il fatto è che i cinesi d'oltremare (Hong Kong, Macao, Taiwan, quando non addirittura ABC, American Born Chinese) a esser confusi con la restante miliardata di occhi a mandorla si seccano, e parecchio. Sono in genere più ricchi, più posh, parlano inglese e considerano un insulto personale essere presi per quei buzziconi provinciali dei cinesi doc, i quali a loro volta apprezzano molto di più un saluto nel bell'idioma di Confucio.
Purtroppo all'esterno sono del tutto identici, dunque mi sa che l'unico modo per uscirne sarà grugnire qualcosa di indistiguibile e immergermi nella lettura del China Morning Post per ventinove lunghissimi piani.

mercoledì 14 settembre 2011

Barbarossa va a Canossa.

Vedere il nostro governo e in particolare San shan (3 monti) metaforicamente in ginocchio con il cappello in mano dai cinesi perché facciano investimenti/shopping aziendale da noi, sembra una sorta di ironico contrappasso per chi ricorda certi comizi e dichiarazioni di qualche anno fa. O non erano comunisti da scansare come la peste? O non erano i responsabili della crisi e di tutti i licenziamenti d'Italia, dietro al collasso del tessile e così via? E adesso dovrebbero salvarci proprio loro? Ovvìa.

domenica 11 settembre 2011

Luna cinese.

In questi giorni il già congestionato traffico pechinese sta raggiungendo picchi di follia. Tutta colpa della festa di mezzo autunno, che quest'anno cade il 12 settembre, e dei dolci della luna. Pare non si possa fare a meno di offrirli, così è tutto un via vai di taxi, biciclette e furgoncini stracarichi di scatole regalo.
I mooncake, o yuè bĭng (月饼), vengono scambiati tradizionalmente in questa occasione per augurare prosperità e ricchezza. Sono paste tonde o rettangolari larghe circa 8 cm. e alte 4 o 5. All'interno di un sottile strato di crosta croccante c'è un impasto morbido di pasta di semi di loto o di fagioli rossi e al centro un rosso d'uovo di anatra, simboleggiante appunto la luna piena. Insomma, una cosa gnucca con la consistenza di un meteorite e il potere ingrassante di un bolo di strutto ricoperto di foie gras.
Sul mooncake troverete sempre il tradizionale ideogramma "WARNING: 1000 Calorie!" o il più poetico "Anche tu tonda come luna piena", che i sinologi continuano erroneamente a tradurre come "Longevità" o "Armonia", non date retta. Ah, pare che anticamente venissero usati dalle spie per mandare messaggi segreti nascosti all'interno. Immagino già i James Bond dell'epoca: "My name is Fang, Fat Fang".

lunedì 5 settembre 2011

Cortocircuito n°1240.

Se avete letto il post precedente capirete come mai la Cina sia il mercato dove cresce più velocemente la domanda di beni di lusso.
Ovviamente le griffes rispondono, con una guerra senza esclusione di colpi per aggiudicarsi la fetta di mercato più grossa. Si fa a gara per la boutique più prestigiosa, l'evento più esclusivo, l'allestimento più impressive, la location più centrale. E cosa c'è di più centrale dell'appena rinnovato e dopo tre anni finalmente riaperto Museo Nazionale, che domina il lato est di piazza Tian'an men con la sua mole da Stazione Termini? Ecco dunque la vostra casalinga issarsi sull'ennesimo tacco, infilare il capetto d'ordinanza, sfoggiare il rictus socialis di rigore in questi casi e assistere a ben due super mostre nello stesso museo a otto giorni di distanza.

Vuitton e Bulgari, la prima con una mostra sul viaggio che scomoda l'artista Zhang Wang per creare un'installazione, la seconda con un impressionante percorso storico attraverso i gioielli più sfolgoranti della maison.
La prima, in particolare, ha causato un sacco di polemiche: vabbé tutto, ma riaprire al pubblico il museo che si propone di educare le masse all'arte e alla storia patria con una mostra su borse e valigie per miliardari è sembrato un po' troppo persino ai cinesi, notoriamente pragmatici quando si tratta di business.
In effetti entrare sotto una gigantesca stella & bandiera rossa, superare le sale del piano terra zeppe di enormi tele con Mao che guida il popolo, Mao che accoglie le minoranze etniche, Mao che falcia il grano e altre edificanti scenette per accedere poi alla scintillante mostra vuittonica, crea una sensazione di totale straniamento, as usual.

Meravigliosi bagagli d'epoca dal 1880 al 1930, bauli giganteschi con stampelle e tavolini e seggiolini pieghevoli all'interno; lettini da campo per esploratori in sahariana à la TinTin; la scicchissima cassettina degli attrezzi per far cambiare una gomma all'autista senza involgarirlo; set di valigie fitzgeraldiani, coperti di etichette di mitologici Grand Hotel dell'epoca e sagomati per entrare al meglio nelle Bugatti e nelle Isotta Fraschini dei proprietari; copriruota di scorta che possono essere usati anche come pratiche cappelliere... praticamente è come dare uno sguardo nei guardaroba e nei garage del Titanic. E poi les commandes spéciales: la scrivania pieghevole di Stokowsky, il porta bambole in raso rosa delle reali principesse Elisabeth e Margaret, il nécessaire da toilette del maharaja di Jaipur con i flaconcini e le spazzole firmati Tiffany, il porta ipod di Karl Lagerfeld, la 24ore di Greta Garbo, tutta una serie di accessori che raccontano un mondo che sembra impossibile eppure è esistito e che per pochissimi continua ad essere, ancora oggi, reale.

E fa un po' effetto vedere questo pubblico che a casa non ha il bagno, che si ammazza di fatica per un salario minimo, che fino a quindici anni fa ha vissuto in condizioni per noi inimmaginabili, guardare attonito resti di un passato che già a noi, figli delle cucine economiche e delle 126 fiat, sembra pura fantascienza.
Si potrebbero qui fare dei moralismi assortiti sul passare da una dittatura a un'altra, dai tazebao al monogramma LV, dal plagio ideologico a quello della griffe, dalla rivoluzione all'ossessione del fintolusso di massa, e sospirare o tempora o mores. Ma la Cina ha la capacità di non farsi imbrigliare nelle previsioni, e dunque c'è speranza, attenti a voi, product manager!