Nell'ottobre del '99, prima dell'handover, a Macao c'erano ancora dei portoghesi. Due di loro, dal viso oblungo, cupissimo e dignitoso da quadro di Velasquez, erano i concierge del mio modesto alberghetto. I loro modi formali e cerimoniosi reggevano probabilmente da soli le due stellette assegnate dalla Lonely Planet.
Ero così ingenua che ci misi un giorno ad accorgermi che la torma di ragazzette cinesi stazionanti nella hall non era di turiste (ci avrei messo anche di più se non avessi preteso un letto matrimoniale al posto dei twin bed. I due imbarazzatissimi Velasquez cercarono di svicolare in ogni modo, per poi cedere e portarmi al secondo piano. Dove l'agognato due piazze troneggiava in stanze senza armadi né finestre: le tendine a fiori si aprivano su un muro di mattoni che nessuno dei clienti, avendo di meglio da fare in quell'oretta, avrebbe mai scoperto).
L'intera città sembrava abbandonata a se stessa da almeno un decennio, occupata casualmente da cinesi di passaggio senza intenzioni durature. Davanti al vecchio Casino Lisboa, l'unico di Macao e dell'intera Cina, stazionavano russe dall'aria scazzata che fumavano in attesa di clienti in cerca di biondi esotismi. A Coloane mangiai piatti sino-portoghesi buoni come mai più ne ho trovati.
La splendida, orgogliosa e modernissima Hong Kong, a soli 40' di traghetto, sembrava più lontana della luna.