lunedì 15 novembre 2010
Sette giorni in Tibet 4
Vista l'affascinante Gyantse, minuscola città-monastero-fortificata, una volta ricca e potente, poi distrutta per la maggior parte dai cinesi. Ora ha la bellezza malinconica di quelle piccole fortezze solitarie disseminate nello sfondo di tanti quadri italiani del Rinascimento.
Gyantse fu anche teatro della più ridicola battaglia inglese, con la quale i britannici, al comando del maggiore Francis Younghusband, invasero formalmente il Tibet nei primi anni del Novecento. Ridicola perché i tibetani non avevano la più pallida idea di chi fossero quei tremila tizi con strani carri in ferro e fucili del tutto inutili, quando loro vantavano degli amuleti benedetti dal Dalai Lama che avrebbero dovuto proteggerli dalle pallottole. Non funzionarono, e in quattro minuti netti gli inglesi massacrarono settecento avversari.
Vista l'orribile moderna Shigatse, con l'imponente e ricchissimo monastero Tashilumpo sede nominale del Panchen Lama, l'amico-rivale-successore del Dalai, il dioscuro allevato dai cinesi che rinnegò la Cina tre giorni prima di morire improvvisamente e misteriosamente. Il piccolo nuovo Panchen seienne in cui si reincarnò fu rapito insieme ai genitori e portato in località segreta, il più giovane prigioniero politico del mondo, mai più riapparso. Un nuovo sorridente fanciullo, questa volta 'scoperto' dai cinesi con reincarnazione approvata doc, è cresciuto a Pechino, aspettando di diventare il reggente del Tibet non appena il Dalai lascerà il suo ennesimo corpo terrestre. Dio sa cosa succederà allora.
Tashilumpo è esattamente come sarebbe la ricca abbazia de "Il nome della rosa" se Eco l'avesse ambientata in Tibet. E in effetti tutto il viaggio sembra un tuffo in una sorta di medioevo continuamente violentato dall'innesto cinese, una società arcaica che ha subito un crash frontale con la modernità più sfrenata. Le cinture di sicurezza e gli air bag non hanno funzionato, esattamente come gli amuleti del 1905.
Cenato con altri due delle ong, così altezzosi verso chi non ha fatto il Darfur e il Mozambico, così pieni di superiorità morale verso il resto del mondo che ho fatto fatica a non alzarmi e andarmene. Tutta la sera in stile "Sai, quando ti abitui a fare il chirurgo con le rane che saltano qua e là in sala operatoria, cosa vuoi..." "Ma qui è lusso, dovevi vedere i campi profughi in Rwanda...". Io il massimo dell'unità di crisi che posso vantare è un backstage con il truccatore isterico perché la modella aveva un brufolo, quindi mi taccio che è meglio. Il risultato è che stramangio cupamente bistecche di yak, mi fumo una sigaretta e scolo persino una birra Lhasa, sciacquatura di piatti, ma il giorno dopo sembro reduce da una gara a "chupitos de vodka" con un camionista spagnolo.
Che hangover! Ma perché devo sempre fare la splendida, anche a 3840 mt? Scendo barcollando nella sala per la colazione, dove scopro agghiacciata che non esiste l'ombra di colazione, almeno come la intendiamo noi.
"Ka-fei you ma? Mei you
Niu-nai you ma? Mei you
Sei chà you ma? Mei you
Egg? Bread? Jam? Bacon? Pancakes? Cookies? Mei you" (che, ormai l'avrete capito, vuol dire ciccia, niet, manco morti, impìccati, siamsenza, nuncisà)
Dal tavolone arrivano orribili odorini: ravioli fritti, verdure saltate, zampe di pollo bollite, congee di riso con sottaceti.
Dopo mie suppliche arriva una fetta di pane in cassetta molliccio e che sa di alcool e, non si vedeva l'ora, il piatto nazionale tibetano, la tsampa. Trattasi di pappa d'orzo mischiata con acqua calda e... indovinate? Burro di yak. Dopo due bocconi corro a vomitare l'anima.
Nella hall la guida mi squadra preoccupato. Il mio abituale pallore cinereo è sostituito da un verdognolo ancora meno invitante. Sicura che voglio partire? Sicura. Voglio vedere l'Everest.
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3 commenti:
ancora perfavore!
cara mavì, quanto tempo! (qui gaia manz)
blog stellare! complimenti sentiamoci che ho un po' di cose da raccontarti (g_manzini@yahoo.it). abbraccio grande
Mav, sei grande! Non so cos'altro dire. Questo reportage entra nella hit 2010 :D
chik67
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