venerdì 27 marzo 2009

Surrealismi.

Siete in macchina, bloccati al solito semaforo eterno nel traffico dell'ora di punta. In questo preciso momento cosa vi servirebbe dal vuccumprà che si aggira fra le auto? Giornali? Ricariche per telefonini? Settimana enigmistica? Smalto per unghie? Lavaggio vetri? Naaa. Ve lo dico io cosa: carte geografiche di quelle da aula scolastica, tartarughe vive e cavetti elettrici, ecco di cosa avete bisogno. O perlomeno, questo è quello che vende il tizio qui all'incrocio del terzo anello con Sanlitun, giuro. O è un atto surrealista da far schiattare d'invidia Duchamp, o c'è un logica che al solito mi sfugge. Interrogare la tartaruga sui capoluoghi di provincia della Cina in senso antiorario, e poi se non li sa torturarla con i cavetti elettrici? Ricaricare la batteria e nel frattempo imparare a memoria i suddetti capoluoghi? (Già, ma la tartaruga?). Imbastire una corsa clandestina di tartarughe da un estremo all'altro della carta geografica, tenuta stesa dai cavetti pinzati ai parafanghi di quattro auto ferme? Mangiare la tartaruga direttamente nel suo guscio, dopo averla fritta con delle scariche elettriche? (E la carta geografica? Stesa sulle ginocchia per non sporcare). Sottili allusioni a problemi interni in alcune zone della Cina, risolvibili a colpi di scariche con molta, molta pazienza?
Ora, non è possibile che un paese la cui sola religione è il denaro perda tempo, quindi soldi, con performances alla Dalì. Ci deve essere una ratio. Forse il tassista lo sa, se solo sapessi dire tartaruga, cavetti elettrici e carta geografica in cinese, maledizione!
L'unica cosa che mi viene in mente mentre scatta il verde, è che i Beatles avrebbero  dovuto venire qui, non in India. Altro che Lucy in the sky with diamonds.

mercoledì 25 marzo 2009

Schermi neri.

You Tube kaputt. Proprio quando cominciavo a pensare che in fondo...
Mi sembra un gigantesco errore di comunicazione, più che altro.

lunedì 16 marzo 2009

Il prezzo del prezzo stracciato

Ci sono quelli che adorano mettersi lì e contrattare fino allo sfinimento. Personalmente faccio fatica persino a chiedere uno sconto il giorno prima dei saldi, e qui una delle cose che mi pesa di più è la continua sceneggiata ogni volta che devo acquistare qualcosa.
In Cina esiste un prezzo per i cinesi e uno per i laowai. A volte c'è persino un terzo prezzo per i giapponesi, ancora più caro. Se la cosa vale per i biglietti aerei, figuratevi al mercato. La negoziazione è un'arte sottile, bisogna sorridere sempre e alternare impuntature ad aperture diplomatiche. Soprattutto, non bisogna far perdere la faccia al negoziante, qui è molto importante. Duoshao qing? Chiedo quando finalmente ho trovato il paio di scarpe, o la sciarpa, o qualunque cosa cerco. Di solito viene sparato un prezzo allucinante. Ta guei la! replico indignata facendo le facce da maschera tragica di chi ha appena assistito a un omicidio. Il tizio si mostra molto poco toccato. Wo zhai Beijing, aggiungo. Il sapere che vivo qui e le due parole in cinese cominciano a far scendere un po' il prezzo. Altra frase ad effetto è Wo bushì meiguoren, non sono mica americana. Da qui parte l'escalation. Senza più alcun briciolo di dignità, sono pronta a tirar fuori amene storielle su bambini senza cibo per via delle scarpe nuove o mariti violenti che mi uccideranno tagliandomi la gola dopo aver scoperto che pago prezzi così alti e non so fare la spesa, roba che neanche i taliban. Dopo una contrattazione sfinente a base di This is my last price, You are joking! Wo bù yao, mei guanxi (non lo voglio più, non importa), finte uscite di scena e rientri degni di Wanda Osiris, finalmente raggiungo un prezzo accettabile. Nel frattempo sono passati 25 minuti, ho i nervi a pezzi e devo comprare altre 12 cose. Arrivo a casa distrutta e la sera, alla fatidica domanda "Che hai fatto oggi?" dovrei rispondere "Ho combattuto la terza guerra mondiale per portare il prezzo di una stoffa da 4,80 a 4,65 €". A quel punto io stessa mi guardo da fuori e mi sembro pazza, quindi "No, niente" è la risposta standard migliore. Come rimpiango quei bei prezzi carissimi nostrani, con tanto di commessa altezzosa che sibila "No, noi non facciamo sconti"!

venerdì 13 marzo 2009

La cena dei cretini (sempre io).

Non solo sono sopravvissuta, mi sono persino divertita. Il che era ampiamente fuori programma, visto il parterre di personaggi con cui mi è toccato cenare. Presenti: la corrispondente del Times di Londra, un ex inviato del New York Times che ora però scrive libri, un manager inglese che è esploso negli Stati Uniti come scrittore di romanzi a sfondo storico sulla Cina, sua moglie Hong Ying nota scrittrice tradotta anche da noi, una intellettuale sino-canadese e suo marito che suppongo americano ma forse è scozzese data la parlata totalmente incomprensibile ( Qwerty per comodità, non ho capito neanche il nome). Ah, già, stavo dimenticando Ian Buruma, tanto per aggiungere neurone su neurone. 
Insomma, un insieme terrificante, sulla carta. Invece è andato stranamente tutto liscio, cosa che mi permette di darvi
Il Segreto Della Cena Perfetta Con Gli Intellettuali Anglosassoni (E Cinesi): 
- Dall'arrivo del primo ospite, cominciate a somministrare generose dosi di vino rosso fortissimo guardandovi bene dall'offrire anche solo due pistacchi. Quando l'ultimo arrivato avrà deposto il cappotto, sarete già tutti piacevolmente stonati e pronti a trovarvi tutti simpaticissimi, of course.
- Cercate di far cadere il discorso sull'Italia. Hanno tutti almeno un casale nelle Marche e un cugino a Firenze e la conversazione per una mezz'ora è assicurata.
- Se avete la sfiga di sedere fra Ian Buruma e Qwerty, come è successo a me, rilassatevi: tanto uno è un genio e l'altro scozzese, non li capireste comunque. Sorridete quanto Milly Carlucci (vabbé, quasi), e diventate la regina  dell'interiezione (es. "Oh, really?" "How funny!""that's why!"ecc.). Quando avrete raggiunto il giusto equilibrio alcool/zen, comincerete persino a parlare inglese.
- Un piatto piccante ai limiti dell'immangiabile o un commensale irlandese contribuiranno positivamente al numero di battute della serata. 
- Non essendo italiani, gli intellettuali anglosassoni hanno la bizzarra abitudine di essere estremamente eteroriferiti. Il che vuol dire che parleranno di tutto fuorché dei loro libri o dei loro articoli, o dei loro lavori. E lo faranno in maniera chiara (Qwerty a parte), acuta e divertente. "How strange, indeed!"
 - Avvertenza per le signore ex-lavoratrici, ex-indipendenti, ecc. Potreste sentirvi lievemente a disagio alla presenza di donne che fanno lavori fighissimi mentre voi da un po' di mesi a questa parte avete metaforicamente le pattine di feltro in testa. Ma basterà coinvolgere Buruma in una serissima conversazione sulla cucina mediterranea versus quella jappo e ritroverete immediatamente il vostro posto nel mondo. Vero, Bree?

lunedì 9 marzo 2009

Il verme della letteratura (io).

Basta con le pattine e i panni per l'argento: dal 6 al 20 marzo la libreria Bookworm ospita un prestigioso International Literary Festival e decido di andarci. Un programma fitto e interessante che comprende autori inglesi, cinesi, australiani... italiani neanche l'ombra, ça va sans dire
Comincio con Ian Buruma, pezzo da novanta su diritti umani e giornalismo politico, nonché fine scrittore ("fine scrittore" lo aggiungo tanto per darmi un tono, visto che ho letto solo i suoi articoli, e neanche un libro). Sentendomi molto intellettuale, entro in una saletta affollata e mi siedo sfogliando il programma. Ah, naturalmente Bree voleva venire a sentire tale improbabile Fuchsia Dunlop sulla cucina cinese e soprattutto "Why Manners Matter, the Etiquette of Diplomacy", ma l'ho guardata talmente dall'alto in basso che non ha più osato dir niente. Altro che cucina, qui siamo in mezzo all'intellighenzia vera!
Nell'attesa, vengo messa a parte del fatto che effettivamente ceneremo con Buruma e un po' di scrittori vari mercoledì sera. Cosa? Panico: non posso andare a cena con una banda di geni della letteratura e non aver letto una riga dei rispettivi capolavori. Farò la fine di Bridget Jones con Salman Rushdie; sembrerò un film di Woody Allen, agh! Mi alzo e comincio ad arraffare i libri di tutti gli scrittori del festival leggendo e tentando di memorizzare le quarte di copertina. Intorno cominciano a guardarmi strano. Mollo il colpo rendendomi conto che solo i libri di Buruma sono cinque, neanche se mi chiudessi in casa notte e giorno arriverei a finirli per mercoledì sera. Ma perché non vendono qualcosa tipo "Cultured in 15 minutes" - "The Complete Pocket Guide to Dating Writers" - "How to Survive to a Literary Dinner" - "Show 'em You've Read 'em", ecc.?
Intanto la presentazione comincia. Buruma è... beh, è intelligente. Cerco di seguire quello che dice, una piacevole e dotta disquisizione sul suo ultimo libro, ma sono paralizzata dal terrore. Arrivo al punto di pensare seriamente di farmi biondoplatino, mettere un push-up e cinguettare di oroscopi "Mi faccia indovinare il suo ascendente, Ian... posso chiamarla Ian?". Ah, se almeno a cena ci fosse Fuchsia Dunlop, potremmo parlare di cucina, io e lei!


martedì 3 marzo 2009

In un gelido mattino d'inverno.




A gennaio qui fa un freddo che non vi dico, tipo -10°. Quest'uomo era di fianco all'ingresso di un tempio e, con un rudimentale pennello spugnoso imbevuto d'acqua, tracciava lentamente caratteri sul selciato formando una perfetta spirale. Man mano gli ideogrammi asciugavano, sbiadivano e poi sparivano, vanificando il suo lavoro. Ma l'uomo continuava imperterrito, come se fosse primavera e il tutto rimanesse scolpito nel marmo. Mi è sembrato un momento molto bello e poetico, nonché metafora di un sacco di cose che non saprei spiegare bene, tipo la soddisfazione di un lavoro ben fatto in sé, a prescindere dal risultato, dal riconoscimento altrui, dal ritorno economico o sociale. Di questi tempi a parte l'automotivazione non resta molto su cui contare, in effetti.