domenica 21 giugno 2009

Olé!

Un conoscente spagnolo organizza un concerto di flamenco per raccogliere fondi a scopo benefico. Ora non so voi, ma io il flamenco lo odio. In modo irrazionale e campanilistico naturalmente, da tanguera, come solo ci si può odiare fra vicini di casa, o fra pallavolisti e giocatori di basket. E poi quegli orrendi vestiti a pois con le gale, bleah!
Intervento a gamba tesa di Bree:-Resta pure a casa, lascia che questo bambino muoia per mancanza di cure. Poi, avessi qualcosa da fare...
E quindi eccomi qua, in un'enorme sala vuota con le pareti decorate di stoffa rossa a pois bianchi, un incubo. Non conosco un cane, as usual. Pochissima gente. Gli uomini praticamente tutti spagnoli. Le altre donne sono fanciulle cinesi che hanno l'aria di sedicenni scappate da scuola nell'ora della ricreazione (prima o poi dovrò pur scrivere un post sulla fortezza d'animo richiesta a qualunque donna occidentale overtrenta nel confrontarsi con il gentil sesso locale). Insomma, tutto sembra congiurare per farla diventare una delle dieci-peggiori-serate-della-mia-vita.
Poi il duo Trujero comincia a suonare, e stranamente son bravi. Compare anche una cantante, ancor più stranamente brava visto che è di Ulan Bator. E per finire, una fantastica ballerina di flamenco perfettamente in tono, un po' sovrappeso, capelli neri, scialle rosso, orrendo vestito a pois con le gale. Però è cinese. Sono completamente stranita.
Man mano l'atmosfera si riscalda e le pseudosedicenni si buttano a ballare anche loro. E sarà la musica, il ballo o la sangrìa, finalmente vedo delle cinesi che si smollano, che ridono, che esprimono un'emozione vera. In questi mesi è una cosa che mi ha sconcertato non poco, un sorrisino di cortesia, magari una risatina, ma il viso impenetrabile delle cinesi è qualcosa di così estraneo e difficile da accettare nei rapporti quotidiani, una distanza fisiognomica ancora più difficile da colmare di quella linguistica. Anche nel vederle ballare il tango non trasmettono in apparenza alcun sentimento, almeno da fuori sembrano magari aggraziate, ma totalmente impassibili.
E invece mi tocca ringraziare il flamenco, mi tocca.

venerdì 12 giugno 2009

Non si uccidono così anche i cavalli?

"L'Ambasciatore e la Signora ... per salutare Barbara e Daniele S. ...invitano a una cena"
"Per salutare la cara Barbara S., siete invitate a un aperitivo-buffet..."
"Barbara e Daniele S., in occasione della loro partenza, invitano a un party di saluto..."

Il tutto nella stessa settimana, giuro. Probabilmente un saluto unico qui è considerato cosa da veri barboni. Si narra di una coppia che l'anno scorso è stata salutata per un mese e mezzo di fila (spero che qualcuno gli abbia poi sparato alla tempia per finirli, poveretti). Alla fine uno non vede l'ora che i carissimi Barbara e Daniele spariscano in fretta e definitivamente all'orizzonte, prima che a qualcun'altro venga in mente di salutarli con un brunch, una colazione seduta, un breakfast in piedi, un after hour sdraiati o un giro di crodini al bar.
Ma che incubo! Per giunta ora che uno dovrebbe stare un po' a dieta, c'è la prova-costume dietro l'angolo insomma.

venerdì 5 giugno 2009

Liberi tutti.

Volevo rispondere a un'osservazione nell'ultimo post, poi mi sono messa a riflettere perché in effetti la questione è complessa ed è in parte una risposta a cosa ci trovo di affascinante nello stare a Pechino. E' paradossale, visto che si parla di un regime, ma il senso di libertà che respiro qui è incredibile. In parte perché sono fuori ruolo io, in vacanza da me medesima, per così dire. Certamente lo status da expat ti colloca poi in una zona franca nella quale puoi assumere identità nuove e diverse da tutto quello che eri in patria (Bree ne ha approfittato biecamente, per dire). Ma soprattutto questo straordinario frullato di stili, usi, costumi e persone che è diventata la Pechino di oggi, e la sua rapidissima esposizione al mondo esterno, hanno reso tutti piuttosto imperturbabili a qualunque tipo di eccentricità, comportamentale e di abbigliamento. Qui è facile vedere dentro una banca signori in pigiama e impeccabili gessati da City di Londra. Nei limiti (pesanti, per carità), che conosciamo, puoi fare quello che vuoi, they really don't care. Non sarà un paese libero, ma di certo è molto liberatorio.

martedì 2 giugno 2009

Pechinotrendy.

Qui col trendy non si scherza. Nel senso che o proprio non si sa cosa sia o si va giù pesantissimi. Prendete il Bellagio, che a dispetto del nome è un ristorante taiwanese. Situato nella fighissima zona del Worker's Stadium, vicino ai più rinomati locali notturni, il luogo vanta una clientela glamourella quant'altri mai, che da sola vale la cena. Grazie a un tavolo vista ingresso vedo arrivare giovanotti con cresta bionda, fanciulle con occhiali da sole giganti e cappelli a tesa larga (sono le 8 pm), catene e catenelle che spuntano da ogni dove, minigonne inguinali e persino un tizio con la felpa a rovescio, zip sulla schiena e cappuccio sotto il mento. Mentre tento di allacciare il tovagliolo al contrario, tanto per non abbassare il livello glam generale, noto qualcosa di strano che al momento non riesco a definire. Finalmente mi rendo conto che le cameriere sono clonate. Ovvero, non solo vestite tutte uguali, ma anche pettinate uguali, tutte con lo stesso taglio corto e scolpito, sicuramente firmato da Tony e Guy, oh yeah.