giovedì 23 ottobre 2008

Grazie Andy?

Recensendo un'interessante mostra a New York "Arte e Cina rivoluzionaria", Richard Bernstein sul NY Times si interroga sulla oddity di un paese visceralmente anticomunista che ora sborsa bei dollaroni per accaparrarsi bellissimi poster di propaganda maoista. Chiedendosi come mai nessuno si faccia il minimo problema, cosa che succederebbe probabilmente collezionando immagini della meglio gioventù ariana o ritratti di baffone Stalin, Bernstein conclude che l'immagine visiva di Mao, a partire dalla celebre serie di Andy Warhol del '72, si è ormai trasformata in un'icona, completamente scollata dal ruolo politico e storico del personaggio. La definisce panda-izzazione della Cina, cioè la traduzione visiva di una dittatura per tanti versi brutale e terribile in immagine colorata e pop, proprio come il panda, che in realtà è  piuttosto feroce e non proprio quel peluche con gli occhioni neri che sembra. Collezionate ma non dimenticate, ammonisce.
Questo comunque dimostra che quando ci si mette, l'arte può cambiare il mondo. Oh, yea. 

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